Ad ogni dipendente in sede di assunzione viene attribuita una determinata mansione. Con questo termine si indentifica l’attività lavorativa svolta in concreto.
La mansione deve essere indicata nel contratto di assunzione e ogni modifica nel corso del rapporto incontra determinati limiti imposti dalla legge o dai contratti colletttivi di categoria .
Il demansionamento del lavoratore consiste nell’assegnazione al lavoratore stesso di mansioni di livello inferiore rispetto a quelle che gli erano state assegnate.
Può accadere infatti che al dipendente vengano assegnate mansioni diverse a causa di esigenze aziendali legate a stati di crisi o per la temporanea mancanza di determinate figure professionali.
La normativa ammette il demansionamento con l’attribuzione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento immediatamente inferiore a condizione che rientrino nella stessa categoria legale e solo quando vi è una modifica dell’organizzazione aziendale che incida sulla posizione del dipendente oppure lo prevede il contratto collettivo.
In caso di modifica degli assetti organizzativi, il demansionamento del lavoratore dovrà essere comunicato dal datore di lavoro per iscritto, a pena di nullità.
Nonostante il demansionamento del lavoratore, questo ha diritto a conservare il proprio livello di inquadramento e trattamento economico che aveva prima della modifica, cambiano però gli elementi retributivi collegati alle nuove mansioni.
Ad esempio un cassiere demansionato ad addetto alle pulizie non percepirà più l’indennità di cassa.
In caso di demansionamento illegittimo il lavoratore può chiedere in giudizio il riconoscimento della qualifica corretta, oppure dimettersi per giusta causa.
Una volta che il giudice avrà dichiarato l’illegittimità del provvedimento, l’azienda sarà condannata a ristabilire le mansioni precedenti e se previsto, a risarcire il lavoratore per i danni non solo economici ma anche morali.
Il risarcimento per il demansionamento può comprendere infatti sia danni patrimoniali (perdita di lucro e chance lavorative) che non patrimoniali (relativi alla sfera personale del lavoratore come il diritto alla salute).
Spetta tuttavia al lavoratore l’onere di dimostrare l’esistenza di un danno apprezzabile ed il nesso causale tra la lesione e l’ingiusto demansionamento deciso dal datore di lavoro.
Il demansionamento del lavoratore è spesso usato durante i periodi di crisi aziendale per evitare il licenziamento.
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo però la proposta di demansionamento non è sufficiente a sviare l’obbligo di ripescaggio. Il datore deve comunque verificare un possibile ricollocamento del dipendente a mansioni equivalenti.
Con il Jobs Act ed il decreto legislativo n°81/2015 il demansionamento del lavoratore ha trova degli specifici limiti ovvero quest’ultimo non potrà scendere sotto il suo livello di inquadramento e non può essere modificata la retribuzione percepita, salvo alcune eccezioni previste dalla contrattazione collettiva.
Dipendente e datore possono concludere un accordo individuale a favore del demansionamento, con modifica in senso peggiorativo delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento, c.d demansionamento volontario.
Detto accordo è ammesso solo per un rilevante interesse del dipendente: evitare la perdita del posto di lavoro, acquisire nuove professionalità o migliorare le condizioni di vita.
L’accordo in questione deve essere stipulato in una sede “protetta” e davanti ad una commissione di certificazione.
Al di fuori della previsione della contrattazione collettiva e del riassetto organizzativo aziendale, la riassegnazione di mansioni inferiori al dipendente, viene considerato demansionamento illegittimo.
In questo caso il dipendente può chiedere in giudizio il riconoscimento della qualifica corretta oppure se le nuove mansioni hanno caratteristiche tali da impedire la prosecuzione del rapporto, dimettersi per giusta causa.
Il risarcimento relativo al demansionamento è subordinato alla tipologia di danno arrecato da datore, che il lavoratore dovrà dimostrare di aver subito.
In assenza quindi di un valido ed effettivo riassetto organizzativo dell’azienda o di un comportamento colpevole del dipendente, il licenziamento senza giusta causa è nullo.
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