Il licenziamento viene definito discriminatorio quando le cause scatenanti sono rappresentate da elementi come la nazionalità e/o la lingua del lavoratore, il credo politico o la fede religiosa, il sesso etc.
Il licenziamento discriminatorio non rientra nelle classiche tipologie previste dalla legge come il licenziamento disciplinare o per giustificato motivo oggettivo.
Non dipende da inadempienze del dipendente, ma da fattori e/o caratteristiche personali come ad esempio genere, età, sesso, orientamento politico, religione, disabilità, etnia o razza, condizioni fisiche o sociali, stato di salute, convinzioni personali, caratteristiche fisiche; altre tipologie di licenziamento discriminatorio sono relative all’appartenenza a gruppi sociali o sindacali, oppure fanno seguito a precedenti molestie, anche sessuali.
Il recesso dal rapporto di lavoro per motivi discriminatori avviene quando il lavoratore viene trattato in modo diverso e svantaggiato rispetto ad altri dipendente in determinate situazioni o a causa di certe “caratteristiche” che la legge invece tutela.
In questi casi il giudice dichiara nullo il licenziamento ed applica la cd. tutela reintegratoria piena.
Con questa forma di tutela il datore è obbligato a:
Il lavoratore può usufruire del cd. diritto di opzione, scegliendo se essere reintegrato o ricevere il pagamento di un’indennità pari a quindici mensilità.
Una forma di licenziamento discriminatorio, è quella del licenziamento ritorsivo che può avvenire in forma diretta o indiretta. In questo caso l’interruzione del rapporto di lavoro è motivata da una ritorsione, relativa ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito.
Anche il licenziamento discriminatorio in caso di maternità o matrimonio è vietato dalla legge. Non è possibile procedere al licenziamento di una dipendente dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino e dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo la celebrazione dello stesso.
La legge tutela il lavoratore anche dal licenziamento discriminatorio per motivi di salute concedendogli il diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro.
Diritto che viene meno in due ipotesi ovvero se e quando la malattia va oltre il periodo di comporto stabilito o quando comporta uno scarso rendimento da parte del lavoratore che causa quindi un danno al datore.
La contrattazione collettiva prevede inoltre l’aspettativa non retribuita, ovvero un periodo di tempo in cui il rapporto di lavoro prosegue ma senza retribuzione, anche oltre il termine di comporto.
Il datore di lavoro non può rifiutarsi di concedere l’aspettativa salvo che non dimostri la sussistenza di seri motivi impeditivi alla concessione della stessa.
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Il licenziamento per motivo illecito consiste nel recesso dal rapporto quando il motivo determinante della decisione del datore di lavoro è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico, al buon costume, oppure è in frode alla legge.
Il licenziamento discriminatorio e quello per motivo illecito, pur sembrando abbastanza simili, si differenziano soprattutto per il tipo di controllo che il Giudice deve compiere al fine di stabilirne l’illegittimità.
In caso di presunto licenziamento per motivo illecito, il recesso del datore di lavoro viene sottoposto al c.d. controllo motivazionale di conformità, mentre in caso di licenziamento discriminatorio il controllo riguarda i suoi effetti, con la finalità di tutelare e preservare l’integrità di alcune caratteristiche dei lavoratori.
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