La legge vieta il licenziamento per malattia del lavoratore. Il dipendente che non svolge la propria attività lavorativa per malattia ha diritto sia alla conservazione del proprio posto di lavoro sia, se previsto dalla contrattazione collettiva, ad una retribuzione o indennità.
Le uniche ipotesi in cui il licenziamento è considerato legittimo sono la giusta causa ed il giustificato motivo oggettivo relativo alla sopravvenuta impossibilità della prestazione o alla cessazione totale dell'attività d'impresa.
Il licenziamento per giusta causa durante malattia è invece ammesso dalla legge: il datore può licenziare un dipendente in assenza per malattia se durante questo periodo esso commetta delle violazioni talmente gravi da ledere il rapporto di lavoro, ad esempio la produzione di un certificato medico falso o la comunicazione sistematica delle proprie assenze, solo all’ultimo momento a ridosso dei giorni di riposo.
Il licenziamento per malattia professionale è ingiustificato. Il datore di lavoro non può licenziare il dipendente se la malattia dipende in tutto o in parte da un ambiente di lavoro nocivo, da un infortunio o dalla mancata adozione delle misure di sicurezza. In questo caso il periodo di assenza dovuto all’infermità non può essere conteggiato nel periodo di comporto.
Il lavoratore ha tuttavia l’onere di provare il nesso fra malattia e lavoro. Oltre al licenziamento per giusta causa o per superamento del periodo di comporto il dipendente potrebbe subire anche un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dovuto ad una sopravvenuta infermità permanente o di cui non ne si conoscono i tempi di guarigione. Detta infermità deve essere relativa a ragioni che non dipendono dalle condizioni di lavoro e deve essere tale da comportare l’inidoneità anche parziale alle mansioni assegnategli.
Affinchè il licenziamento sia legittimo, è necessario che la malattia non abbia una prognosi definitiva; che non ci sia un apprezzabile interesse per le prestazioni lavorative del dipendente stesso e che questo non possa essere ricollocato ad altre mansioni con onere di prova a carico del datore).
Il dipendente può assentarsi dal lavoro per tutto il periodo in cui è malato ed in quello di convalescenza, continuando comunque a percepire lo stipendio. L’assenza però deve essere sempre comprovata da un certificato medico che la giustifica e che deve essere telematicamente inviato all’Inps il prima possibile e da un eventuale visita fiscale di controllo per verificare l’autenticità della malattia stessa.
Il numero dei giorni che il datore deve tollerare e in cui è vietato licenziare il dipendente rappresenta il cosiddetto periodo di comporto ed è fissato dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. È stabilito dalla legge solo nel caso degli impiegati ed è generalmente fissato a 3 mesi se hanno un’anzianità di servizio inferiore a 10 anni. Due sono i tipi di comporto previsti dalla contrattazione:
Tra le motivazioni relative al licenziamento per cause imputabili al dipendente rientra il superamento del periodo di comporto da parte del lavoratore. Causa per cui il datore può licenziare senza dover dimostrare l’esistenza di giusta causa o giustificato motivo, dando però il preavviso.
L’assenza per malattia non può protrarsi infatti all’infinito, dopo il superamento del periodo di comporto, il datore può imputare il licenziamento per malattia prolungata.
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