Nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il dipendente si impegna, dietro retribuzione e senza vincolo di durata a prestare la propria attività lavorativa sotto il controllo direttivo, organizzativo e disciplinare del proprio datore di lavoro.
Il licenziamento contratto a tempo indeterminato è previsto solo in due casi: per questioni disciplinari (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo), oppure in caso di giustificato motivo oggettivo (connesse a particolari vicende aziendali).
Nella prima ipotesi, in caso di inadempimento tanto grave da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro (giusta causa), il licenziamento avviene in tronco senza preavviso; per inadempienze gravi, ma non tali da impedire la prosecuzione temporanea del rapporto, il licenziamento avviene con preavviso.
Nella seconda ipotesi, invece, la fine del rapporto di lavoro può dipendere da cause come la chiusura di un settore aziendale, l’esternalizzazione delle funzioni, una crisi di mercato o un taglio di sprechi.
In questo caso, prima di licenziare un lavoratore con contratto a tempo indeterminato l’azienda è tenuta a verificare la possibilità di assegnarlo ad altre mansioni anche di grado inferiore (repechage).
Accanto al contratto a tempo indeterminato è stato introdotto quello a tutele crescenti che altro non è che una nuova veste contrattuale applicata al rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
In particolare é stata introdotta una differente tutela contro i licenziamenti illegittimi valide per chi è stato assunto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto legislativo contenuto nel Jobs Act (L. 183/2014).
Il termine tutele crescenti si riferisce all’aumentare delle mensilità spettanti in caso di licenziamento illegittimo, che è proporzionale alla permanenza azienda del lavoratore.
In caso di licenziamento illegittimo al dipendente spettano 1 o 2 mensilità (a seconda del tipo di vizio riscontrato) per ogni anno di attività (ed un massimo di 24), più l’indennità di disoccupazione Naspi.
Il preavviso, durante il quale il lavoro procede normalmente, si applica solo al licenziamento contratto indeterminato e va comunicato dal datore di lavoro direttamente nella lettera di licenziamento.
La durata del periodo di prova è stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale e varia a seconda della qualifica e delle mansioni ricoperte dal lavoratore.
Durante la prova entrambe le parti possono recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se si stabilisce una durata minima della prova, si potrà recedere solo al termine del periodo stabilito.
Solitamente la durata massima del periodo di prova è limitata dal CCNL di riferimento e in genere non è mai superiore ai 6 mesi.
Il contratto a tempo indeterminato può essere full time (a tempo pieno) o part time (parziale).
Nel contratto a tempo indeterminato la determinazione del termine di preavviso dipende dalla qualifica e dall’anzianità di servizio.
In generale, in caso di contratto full time, fino a 5 anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro sono sufficienti 8 giorni di calendario, se gli anni di anzianità sono più di 5,il preavviso è di 15 giorni; nel contratto part time fino a 2 anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro sono sufficienti 4 giorni di calendario, con più di 2 anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro sono necessari 8 giorni di calendario.
I singoli CCNL, però potrebbero prevedere dei termini differenti perciò in questi casi è importante rivolgersi ad un esperto.
Il dipendente che subisce un licenziamento contratto a tempo indeterminato, ha 60 giorni di tempo, dal ricevimento della comunicazione, per impugnare il provvedimento, scaduti i quali non è più possibile fare nulla.
In questo caso è necessario rivolgersi all’ufficio vertenze sindacali e farsi assistere ad un legale esperto in diritto del lavoro.
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