Nell’ipotesi in cui il lavoratore non accetti passivamente il licenziamento subito, deve manifestare per iscritto la sua volontà di volerlo contestare, attraverso l’impugnazione del licenziamento stesso.
I due elementi fondamentali per impugnare sono: termini di impugnazione del licenziamento e tentativo di conciliazione.
Per impugnare un licenziamento, il lavoratore deve manifestare questa volontà in forma scritta, spiegando i motivi per cui è illegittimo il provvedimento ricevuto e depositare l’atto di ricorso presso la cancelleria del tribunale ordinario, entro 180 giorni dalla spedizione della lettera di impugnazione.
L’alternativa all’impugnazione è il c.d. tentativo di conciliazione nel licenziamento. Sempre entro lo stesso limite di tempo, il lavoratore può optare per comunicare all’azienda la volontà di effettuare un tentativo di conciliazione.
L’impugnazione del licenziamento deve avvenire per legge entro 60 giorni dal giorno in cui la lettera di licenziamento è stata ricevuta dal lavoratore per raccomandata con ricevuta di ritorno o controfirmata.
Allo spirare del termine di 60 giorni viene meno il diritto del lavoratore di contestare il provvedimento stesso.
Con la Legge 183/2010 è stata modificata una parte della procedura di impugnazione del licenziamento, ovvero sono stati confermati i termini di decadenza di 60 giorni dal licenziamento o dalla data di comunicazione dei motivi; è stato dichiarato irrilevante che la dichiarazione sia ricevuta dal datore di lavoro oltre questo termine; è stata esclusa l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione e sono stati introdotti diversi mezzi di risoluzione delle controversie alternativi al ricorso al giudice.
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L’impugnazione stragiudiziale del licenziamento deve essere effettuata entro il termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione del recesso del rapporto di lavoro, comunicazione in cui il lavoratore deve trasmettere per iscritto la volontà di voler impugnare l’atto.
Il termine di 60 giorni può essere interrotto con qualsiasi atto scritto, giudiziale o stragiudiziale idoneo a far sapere al datore di lavoro la volontà di avviare la procedura per l’impugnativa di licenziamento.
Se si tratta di impugnazione del licenziamento collettivo che viola i criteri stabiliti dalla Legge 223/91, l’indennità va da 4 a 24 mensilità.
A prescindere dalla motivazione il licenziamento deve essere comunicato in forma scritta, con lettera consegnata a mano o con raccomandata e deve indicare in modo preciso i motivi economici o disciplinari che lo giustificano, altrimenti il licenziamento si configura come illegittimo.
Se il lavoratore riceve la comunicazione del recesso dal rapporto di lavoro ma non è stato aperto alcun procedimento disciplinare, questo può procedere al ricorso per licenziamento senza giusta causa.
La legge 92/2012 ha introdotto un'ulteriore forma di conciliazione per i soli casi di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo.
Questo deve infatti essere preceduto da una comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro.
Procedura che deve concludersi entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione, a meno che le parti non chiedano una proroga per arrivare ad un accordo.
Se il licenziamento è nullo (discriminatorio o per matrimonio o in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità oppure negli altri casi previsti dalla legge) o inefficace (perché intimato in forma orale), il lavoratore ha diritto al reintegro nel posto di lavoro con un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione che avrebbe maturato dal giorno del licenziamento all’effettiva reintegrazione.
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