Per Legge il lavoratore nel pubblico impiego deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento o a quelle corrispondenti ad una qualifica superiore che ha acquisito a seguito di procedure selettive.
In generale il demansionamento è sempre vietato ma nel pubblico impiego questa disciplina ha regole proprie. Rispetto al settore privato vi sono due notevoli differenze:
Il concetto di mansione equivalente è “formale” cioè ancorato ad una valutazione demandata ai contratti collettivi e, pertanto, normalmente non sindacabile dal giudice.
Condizione necessaria e sufficiente affinchè le mansioni possano essere considerate equivalenti è la previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito durante il rapporto di lavoro.
Le assegnazioni a mansioni superiori nel pubblico impiego aumentano anche il livello di inquadramento solo se sono state eseguite a seguito di procedure di promozione interna (c.d. progressioni) da un livello ad un altro.
Non ci può essere quindi un demansionamento nel pubblico impiego nemmeno se resta invariata la sua collocazione nell’amministrazione di appartenenza.
La pubblica amministrazione può esercitare nei confronti del lavoratore, lo ius variandi, ovvero il diritto di adibire il personale a mansioni diverse purchè equivalenti a quelle dell’assunzione e purchè non determini alcuna riduzione del trattamento economico.
Costituisce demansionamento illegittimo non solo l’assegnazione a mansioni non corrispondenti all’inquadramento contrattuale del lavoratore, ma anche la sottrazione di tutte o della maggior parte delle mansioni precedentemente esercitate, determinando un danno alla professionalità del lavoratore.
Spesso il demansionamento nel pubblico impiego viene utilizzato come ultima ipotesi per scongiurare la possibilità di un licenziamento o per preservare la salute di una dipendente in gravidanza.
Per questo è fondamentale farsi assistere da un legale esperto in diritto del lavoro.
Il demansionamento del dipendente pubblico è illegittimo quindi non solo in caso di assegnazione di mansioni che non corrispondono all’inquadramento contrattuale ma anche quando vengono meno tutte o gran parte delle mansioni precedentemente esercitate dal lavoratore stesso.
In caso di demansionamento nella pubblica amministrazione il dipendente può rivolgersi al giudice del lavoro per richiedere la condanna del proprio datore al ripristino delle mansioni precedentemente svolte nonché al risarcimento del danno subito. Si tratta in particolare di un danno alla professionalità, all’immagine e da perdita di chance.
Tale danno viene, di regola, calcolato in via equitativa, sebbene la giurisprudenza si sia ormai orientata nel senso di far riferimento ad una quota della retribuzione mensile, crescente col perdurtare nel tempo della lesione della professionalità.
In relazione ai presupposti per il risarcimento del danno da demansionamento, in giurisprudenza si sono formati tre orientamenti:
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